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Come cambiò il quadro nella mia mente

Quando ho lasciato il mio posto di lavoro, erano tutti sinceramente felici per me. Mi sono sentita dire da più persone che me lo meritavo. Mi meritavo ogni bene, mi meritavo di avere un bel lavoro, mi meritavo di crescere professionalmente.

Me lo meritavo...

Per ironia della sorte, quello che evidentemente mi meritavo era una lezione al mio pessimo sesto senso. Ho sempre fallito nel giudicare sia le situazioni che le persone: di primo acchito, chi mi sembra simpaticissimo, scopro di odiarlo, mentre chi trovo particolarmente sgradevole, finisce col diventare il mio migliore amico.

Quando ho accettato questo lavoro, ero dotata di pessima vista e di uno scarso fiuto. Nella semioscurità, ho acquistato con entusiasmo un dipinto che raffigurava un ambiente colorato, un giardino in fiore e delle persone felici.

Georges Seurat -
Un dimanche après-midi à l'Île de la Grande Jatte

Ma quando mi presento il primo giorno, il quadro alla luce del sole ha cominciato a perdere fascino e a svelare i primi difetti. L’edificio, fatto di lunghi e angusti corridoi dai pavimenti in linoleum anni ’80 e illuminati qua e là da finestre di alluminio talvolta sgarruppate, mi ricorda molto la mia scuola media, ma con un silenzio surreale. Nonostante ci siano un centinaio di cristiani in presenza, non vola una mosca! Un silenzio tombale.

Con la sensazione di avere una caramella Sperlari gigante bloccata in gola, raggiungo l’ufficio a cui sono destinata, salendo delle scale con pareti in cemento armato.
Apro una porta in ferro in stile parcheggio silos e partono le presentazioni coi colleghi: quella con cui dovrò avere più a che fare ha una faccia cattiva, quindi, per come sono fatta, sono sicura che diventerà la mia migliore amica. Ha la mia età, ma sembra mia zia. Sposata 2 volte e una figlia di 20 anni, ha un modo molto kitsch sia di truccarsi che di vestirsi: il mascara a grumi, la matita bianca nella parte inferiore dell’occhio e il tubino di pizzo rosso portato con orgoglio mi fanno pensare a un personaggio dei fratelli Coen. Una segretaria in una città del Michigan che vorrebbe ma non può, ma che crede di potere.

Con passare dei giorni, sono davvero tanti i momenti cringe di cui Malefica è protagonista. Le sue attività principali sono: fumare 4573674 sigarette al giorno, parlare male dei colleghi che non sanno lavorare (tutti) e flirtare con qualsiasi collega di sesso maschile.
Flirta anche con il capo, che sembra gradire. Sposato, lui ha circa 55 anni ma dimostra almeno dieci anni in più, ha i pantaloni ascellari, porta un gilet di lana coi bottoni e cammina ingobbito. Sembra tanto uno di quei vecchi che impersona Eddie Murphy nei suoi film. Oltretutto è anche piuttosto maleducato e supponente. Anche un po’ falso e maschilista.

Qui tutti i responsabili sono uomini e tutti danno un grande rilievo alle formalità quali il libro firme, o chiamare le persone con il titolo di studio, ma nessuno si cura di risolvere problemi pratici sulle procedure standard.

E intanto il tempo passa e il mio quadro diventa una macchia che cola e io finalmente lo vedo per quello che è: un Teomondo Scrofalo di cui sinceramente penso: lo voglio tenere così a lungo?

Scelgo però di non perdermi d’animo e cerco di abbellire questo quadro impegnandomi davvero tanto a ravvivarlo il più veloce possibile, a cambiare qualche particolare e a far collaborare gli altri colleghi, che inizialmente ne sono entusiasti. Lo guardano tutti e ne sono compiaciuti.

Ma all’improvviso e a mia insaputa, questo quadro viene imbrattato con perfidia da qualcuno e si rovina per sempre una piccola opera d’arte restaurata.

È troppo tardi: il danno è fatto e il mio dipinto è irrecuperabile e mi viene tolto senza darmi alcuna possibilità di recupero. Ormai non suscita più interesse. È una zavorra.

Sono triste di aver perso per sempre il mio quadro, ma penso anche che il mio sesto senso mi avrebbe dovuto far capire che, nonostante avessi provato di tutto per renderlo bello, i colori cupi sarebbero sempre risaltati e avrebbero finito con l’uccidermi di tristezza.

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Vade retro ai vampiri succhia energia!

Tra amici ci si racconta di tutto, si piange, si ride fino alle lacrime, ci si scambia opinioni, lamentele, si parla di frustrazioni, insuccessi, ma anche di trionfi, soddisfazioni e tutto ciò che si è in grado di scambiare.

Sì, scambiare. Poi esiste una categoria che non è in grado di farlo, ma che parla soltanto del proprio mondo. Stop. Tu parli, loro non ti ascoltano: lavorano duramente soltanto loro, hanno delle emozioni molto forti che nessun altro riesce a provare e, ovviamente, le loro sofferenze sono le più grandi.

Non sono interessati a quello che stai per dire, ti parlano sopra, ti liquidano con un breve “sì, sì, invece io…” e giù di aneddoti molto più interessanti che ti martellano all’infinito.

Ecco, questi sono i succhia energia, le persone che ti chiamano in ogni momento della giornata e che se hanno un problema che li assilla, devono per forza assillare anche te per trovare insieme una soluzione.

State lontani, cari i miei egocentrici vampiri, io non sarò mai vostra amica!

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Lo schema del Dr. House

Da quando mi sono abbonata a Netflix ho fatto una full immersion di serie TV: passando da Downton Abbey a Narcos, da American Crime e altre mini serie mi sto facendo una cultura.

Poi ho deciso di guardare dall’inizio alla fine Dr. House, perché nelle poche puntate viste in TV, ho sempre apprezzato il suo humour cinico.

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Ora posso confermare questa mia passione, ma ho anche notato che tutti gli episodi presentano uno schema fisso:

  1. Prologo: una persona apparentemente sana perde i sensi, e spesso da qualche misterioso orifizio sgorga copioso del sangue.
  2. Sigla sulle note taroccate di Teardrop dei Massive Attack
  3. Dopo una ripresa panoramica dell’immaginario ospedale Princeton-Plainsboro del New Jersey, il Dottor Gregory House, diagnosta, esce incazzato dall’ascensore e non vuole avere a che fare col paziente, così ordina ai collaboratori-zerbino di sottoporlo a tutti gli esami possibili, poi ordina una cura. Quasi sempre steroidi.
  4. In prima battuta, il paziente potrebbe avere: lupus, sarcoidosi, malattia autoimmune e infine cancro, ma nessuna di questa lo è. In quasi tutte le puntate si sente la frase “Non è cancro”.
  5. Il paziente, con le prime cure, peggiora ed è con un piede nella fossa.
  6. Il Dr House decide di sospendere tutte le cure.
  7. Finale della puntata: il diagnosta si trova nell’ufficio del suo migliore amico, l’oncologo Dr. Wilson, e si diverte a torturarlo, trattarlo male, sfotterlo. Ad un tratto basta una parola del povero Dr. Wilson e il Dr. House viene colto da un’illuminazione che lo fa correre fuori dalla stanza pronto a salvare la vita al paziente, con cui alla fine avrà un dialogo strappalacrime.

Quasi sempre la cura non è niente altro che un antibiotico ad ampio spettro, quindi, se vi sentite poco bene, prendete preventivamente quello, così non dovrete finire ricoverati in un povero ospedale italiano, che niente ha a che vedere con quelle camere ultrachic del Princeton-Plainsboro diretto da quella gnocca della Dottoressa Cuddy!

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Pensiero post 8 marzo.

L’avranno scritto in tanti, ma io mi voglio comunque unire al coro di chi è contro la festa della donna. Che senso ha omaggiarle con mazzi di mimose, sfoderare falsi sorrisi, ostentare galanteria, quando nel 2016 siamo ancora vittime dei più efferati crimini e di una società maschilista che ci vuole sempre in secondo piano?
Due ragazze argentine viaggiavano sole in Ecuador e sono state uccise barbaramente, eppure qualcuno ha avuto il coraggio di commentare che se la sono cercata perché viaggiavano da sole.
Allora essere donne non è essere libere? Il posto all’interno della società è sempre un piccolo angolo in cui ripararci da chi ci odia e non ci rispetta?
Non sono una femminista incallita eppure, da donna indipendente ed autonoma quale sono, rivendico la mia libertà di poter uscire di casa senza dovermi sentire in colpa e senza dover avere paura.
Mi mette i brividi dover pensare che in certi ambienti, soprattutto lavorativi, si debba ancora conquistare rispettabilità e si debba combattere per evitare meschine e putride occhiate o battute, soltanto perché si è donne e perché l’uomo deve dimostrare la sua virilità.
Eppure anche tra noi non vi è solidarietà, perché non siamo tutte uguali. Molte, per paura o per pudore non si azzardano a compiere gesti ritenuti “sconvenienti” e allora criticano chi, magari anche per estrazione famigliare, è stato più fortunata.
Nessun atteggiamento contro di noi è giustificato, come è giusto lottare per portare avanti i propri ideali e per meritare rispetto.

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Il terzo grado nei colloqui di lavoro

Stamattina colloquio di lavoro per un ruolo che ricopro ormai da anni, prendo mille mila mezzi e approdo in una zona a me sconosciuta, una volta degradata, ma ora, piazzando un paio di grattacieli, la fanno passare come riqualificata.

Arrivo con dieci minuti di anticipo, mi fanno aspettare venti, poi, finalmente, mi viene concessa udienza. Prima una breve presentazione dell’azienda, poi comincia a raffica l’interrogatorio il stile Law and Order: “E’ sola? E’ mai stata sposata? Ha figli? Vive da sola?” e poi “cosa fa nel tempo libero? qui nel curriculum non c’è scritto (con un tono polemico). Che tipo di film guarda? Che genere di letture fa? Che tipo di gente frequenta?” Giuro, ero fortemente tentata di rispondere che sono una grande appassionata di film splatter e che frequento un club di tossicomani scippatori!

Ma l’apoteosi si raggiunge alla domanda “ma come mai lei che è contabile è così appassionata di inglese? Sa.. io sono laureata in lingue, ma non sono appassionata di contabilità, nonostante io sia responsabile amministrativa…”

Mi piacciono questi esperimenti socio-economici: mi fanno capire il motivo per cui l’Italia è messa così male…

Evviva!

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Shopping da seduti

Quando ero una fresca ventenne, il mio fisichino taglia 40 era anche piuttosto resistente alle interminabili code alle casse dei negozi o allo spingi- spingi nella giungla dei camerini.
Ora, però, il mio livello di sopportazione si è notevolmente abbassato e preferisco di gran lunga acquistare on line, comodamente seduta sul mio divano, soprattutto durante il periodo natalizio, in cui tutta la calca si riversa nei centri commerciali o per le vie dello struscio.

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Ormai quasi tutte le marche hanno la sezione shopping on line, ma se volete fare dei buoni affari acquistando merce di qualità, alcuni siti sono davvero convenienti.
La maggior parte necessitano di un’iscrizione, tutti offrono la possibilità di rendere la merce qualora non ci fosse congeniale, le istruzioni per le taglie sono chiarissime e, se non si è mai a casa e non si vuol fare recapitare il pacco in ufficio, vi sono delle alternative, come iscriversi al sito Indabox, grazie al quale, pagando una cifra irrisoria, si ritira in un punto di raccolta indicato.

Ecco l’elenco dei miei siti preferiti di shopping on line:

ultimo, ma non meno importante, sito Emp, che vende soprattutto articoli di ispirazione rock, metal, gothic e ha come simbolo le horns up!

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al posto della manina, le corna!

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Ritratto dello squalo moderno

Ho sempre detto che gli amici si possono scegliere, mentre i colleghi no. Ma, poiché con gli amici non si trascorrono 45 ore alla settimana come coi colleghi, a volte si sviluppano dei rapporti amichevoli anche all’interno dei luoghi di lavoro.

Del resto, è come se si convivesse: si divide la stanza, si mangia spesso insieme, si collabora e ci si conosce e spesso i dialoghi non si sviluppano sul solo piano professionale. Ovviamente sto parlando di persone umane e dotate di un minimo di sensibilità, estroversione e socievolezza, ma anche di un pizzico di maturità. Sarebbe bello poi se i colleghi diventassero amici e non degli ostacoli che devi superare ogni giorno con la maschera della diplomazia premuta sulla faccia. Perché non tutti apprezzano la tua spontaneità, ma anzi, spesso essa viene violentata da esseri arrivisti e subdoli che non pensando ad altro che alla loro carriera e che sono talmente insicuri da cercare in ogni modo di farti sentire un fallito.

Ecco, queste persone non hanno capito il semplice concetto di sana competizione e collaborazione, ma giocano soltanto a fare gli squali.

Giusto perché porta sfiga, vi auguro buona caccia!

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Confessioni di una misantropa

Sono felice che alcune mode trash siano passate. Ricordo gli anni 80, con le spalline squadrate sotto le giacche, o gli anni 90 per i ciuffi altissimi e laccati e tre fili di frangia che, rigidissimi, non si spostavano di un millimetro dalla fronte.
Ecco, io spero che cadano in disuso quanto prima molte espressioni moderne che mi fanno sanguinare le orecchie ogni volta che le sento, ad esempio:

  • no vabbé (senza proseguire la frase): usato per commentare qualcosa di sconvolgente
  • sto male: quando si ride molto
  • ce la posso/ non ce la posso fare
  • top: per dire che qualcosa è grandioso (senza articolo, mi raccomando)
  • tanta roba: sempre per dire che qualcosa/ qualcuno è meraviglioso
  • sapevatelo: per avvertire qualcuno
  • particolare: aggettivo usato a sproposito quando non si sa come descrivere qualcosa

Per ora ho terminato qui, ma credo che in futuro implementerò l’elenco!
E voi che parlate in modo così trendy, io vi dico che non vi considero top!

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Osservatorio terapeutico

L’essere umano sotto stress è capace di fare delle scenate che potrebbero far sembrare il buon Mario Merola un debuttante. Il sangue va alla testa, dalla bocca fuoriescono parole di cui prima non si conosceva l’esistenza o si compiono dei gesti talmente infantili che al confronto, un bimbo di due anni potrebbe sembrare maturo.

Io credo che queste persone non si meritino di viaggiare, proprio perché non sanno gestire le proprie emozioni davanti ad un piccolo ritardo, ad un ridicolo innalzamento di prezzo o ad leggero cambio di programma.

Detto ciò, ai miei occhi sono dei personaggi positivi. In particolare, vorrei ringraziare:
– La signora che sabato mattina alle 4.30 urlava come una pazza nel parcheggio dell’aeroporto perché c’era una differenza di prezzo di due euro. Doveva partire per Lanzarote, ma ormai la vacanza era rovinata!
– Il tizio che ha spintonato un incaricato dell’aeroporto di Londra per avergli etichettato il bagaglio a mano e aver cercato di imbarcarlo perché c’era poco spazio a bordo. Avrà avuto un lingotto d’oro che non poteva assolutamente abbandonare…
– I ragazzi ventenni in ultima fila dell’aereo. Primo perché con il loro linguaggio a dir poco colorito avrebbero fatto impallidire persino Germano Mosconi e in secondo luogo perché uno di loro, nel comunicare allo steward di aver smarrito il cellulare, ha esordito con un “pota”.
– Le dolci mammine che si sono accapigliate e prese a male parole prima della partenza dell’aereo, coprendosi di ridicolo e scatenando una tifoseria degna da stadio, ma soprattutto dando un ottimo esempio ai figli.
– Sempre le dolci mammine di cui sopra che si sono ammansite da brave bimbe quando il comandante ha minacciato di farle arrestare.

Ecco, è grazie a queste persone che a volte la mia autostima cresce ed è per questo che io qui le ringrazio!

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Lo shock del cambio lavoro

Per una persona un po’ abitudinaria, il primo di giorno di lavoro in un’azienda è un po’ come il primo giorno di scuola in un’altra città: non conosci nessuno e c’è un certo distacco e diffidenza nei tuoi confronti e tu devi cercare di inserirti in un ambiente dove tutti hanno già fatto il girotondo insieme. Si hanno delle aspettative, si spera di essere trattati come tu tratteresti gli altri, cercando di coinvolgerli e di farli sentire a casa, ma in fondo ognuno guarda al proprio orticello e durante la pausa pranzo messaggia con qualcuno o parla di qualcosa che tu ovviamente non conosci.

Io sinceramente invidio chi cambia lavoro molto spesso. Per me è un vero e proprio stress il dover ricominciare tutto daccapo sia coi colleghi, che le nuove procedure che inizialmente non capisci o che ritieni semplicemente inutili anche se le devi seguire.

E’ una bella palestra di vita, ma forse dovremmo cercare di essere più menefreghisti…

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